IV Guerra del Golfo Persico? Questa volta sarebbe diversa

Senso di onnipotenza, interessi commerciali o disperazione per le vicende interne (impeachment, prossime elezioni presidenziali)? Certo non le generiche scuse accampate da Mike Pompeo, prive di giustificazioni o prove come sottolineato dai Democrats al Congresso USA.

Mentre gli esperti di geopolitica si lambiccano il cervello per capire le ‘ragioni’ che avrebbero spinto Donald Trump a commissionare l’omicidio del Gen. Soleimani alle proprie forze armate (o viceversa… ma anche questo è un dettaglio), a noi preme sottolinare una notevole differenza con le altre guerre scatenate dagli USA nel recente passato. Differenza destinata a influire anche su quelle future e sull’intera ragnatela di rapporti internazionali su cui si fondano tra l’altro gli scambi economici e finanziari.

La differenza, che fa intravedere nefaste conseguenze dato il pericoloso precedente, è che se finora i governi occidentali, sotto la pressione dell’opinione pubblica, sentivano di dover usare pretesti più o meno credibili per gli attacchi da portare alle vittime di turno (l’articolo dell’Antidiplomatico che potete leggere qui riassume i pretesti delle guerre a stelle e strisce degli ultimi due secoli), ora ci si troviamo davanti al totale ribaltamento del paradigma operativo: gli statunitensi prendono l’iniziativa, ‘imponendo’ agli alleati di seguirli a fatto compiuto e senza nessuna ulteriore informazione, e colgono il più eclatante degli obiettivi (cioè il comandante che ha distrutto l’ISIS in Siria, temuto da tutte le forze terroristiche fondamentaliste per le sue capacità bellico-strategiche, nonché erede designato alla guida dell’Iran).

Con il rischio (o l’intenzione) di scatenare la quarta guerra del Golfo. Che si preannuncia come la più lunga e potenzialmente destabilizzante di tutte. Anche perché combattuta su procura dell’unica potenza nucleare del Medio Oriente, quella che non ha mai ammesso di possedere l’atomica o aderito ad alcun trattato di non proliferazione: Israele.

Ma c’è dell’altro, evidenziato dalle ultime dichiarazioni ed avvenimenti che sembrano a prima vista complicare il quadro, ma che invece ne chiariscono i contorni e le direzioni future. E cioè le sorprendenti dichiarazioni ‘pacifiste’ rilasciate quasi all’unisono dal ministro degli esteri iraniano e dal presidente statunitensi e la dinamica stessa degli attacchi iraniani alle basi USA in Iraq, i cui comandi sarebbero stati preavvertiti degli imminenti bombardamenti dal governo iracheno, e quindi da quello iraniano che ne controlla la composizione. Le motivazioni sembrano appartenere sia alla sfera della propaganda che a quella della strategia militare: dare un segnale ai popoli sciiti del medioriente confermandone la leadership iraniana, ricompattare la propria popolazione segnata da anni di tremende sofferenze legate all’embargo USA che non è mai stato cessato nonostante gli accordi, e lanciare agli USA un chiaro avvertimento basato sulla forza e sulle conseguenze di una loro permanenza in Iraq.

Ma la lettura degli accadimenti potrebbe anche essere un’altra, che condurrebbe a ritenere che le cause dell’assassinio del generale Soleimani siano meno complesse di quelle ipotizzate, e cioè semplicemente legate alla necessità di eliminare il più pericoloso nemico di Daesh. Ma in questo caso i comportamenti dei principali attori sarebbero da inquadrare in ottica ben più ‘complottista’…

La vicenda in ogni caso sembra piuttosto pericolosa per gli equilibri politici e i commerci di materie prime, carburanti petrolieri in primis, e lunga da risolvere. Almeno fin quando gli altri grandi attori mondiali, Russia e Cina e forse chissà anche l’Europa un giorno, non decideranno di intervenire direttamente nello scenario in questione.